mercoledì 27 gennaio 2010

La FZ8 e Tommaso


Tommaso, che per rendere onore al suo nome è scettico di natura, mi rivolge una domanda che ritengo degna di una riflessione.
Dopo aver visto la prima immagine ufficiale della Yamaha FZ8 (quella qui sopra) mi dice:
"a me non piace... poi sinceramente cosa vuol dire 800?? Secondo me non è così versatile come sembra, no?? Tu che ne dici?"
Bisognerebbe innanzitutto indagare sul perché Tommaso si rivolga propria a me. Ma dato che lo ha fatto, provo a rispondere.

Caro Tommaso,
credo che la tua domanda contenga almeno un paio di imprecisioni. La prima: chiedi che vuol dire 800? Beh Tommaso, 800 è un numero e in questo caso indica la cilindrata, 800 cc. Sarcasmo a parte è proprio sulla cilindrata che la FZ8 ha la sua peculiarità, poi ti spiego.
La seconda: parli di versatilità. Credo che non sia questo il primo obiettivo della FZ8. Non a caso nella notizia che ha accompagnato la foto ufficiale su Real-Bikes ho usato il termine (peraltro inesistente) di "sfruttabilità". L'FZ8 si candida ad essere una moto sfruttabile, nel senso di godibile, divertente e non impossibile ma che allo stesso tempo appaga. E poi gioca d'astuzia e qui entra in ballo il discorso della cilindrata che non è soltanto il frutto di ragionamenti matematici ma anche (e soprattutto vien da pensare) di richieste di marketing.

In tempi recenti quella terra di mezzo che sta tra le "medie" e le "maxi" è stata un po' snobbata: spaventa la timidezza degli inesperti e non attira l'ardore degli esperti che vogliono e osano di più. Soltanto la GSX-R 750 e la Z 750, con diverse motivazioni, hanno continuato a crederci. A loro si è aggiunta BMW con un altro filone e le sue 800 bicilindriche in linea. In ogni caso il mercato ha premiato questa intuizione, specie per quanto riguarda la Kawasaki.
Penso sia opportuno però fare una riflessione più ampia che non riguarda solo le moto: nel momento storico che stiamo attraversando, il consumatore (cioè tu, io, la gente...) ricerca certezze, solidità, oggetti durevoli con maggiore attenzione. E' quindi presumibile che un prodotto che passa per divertente ma allo stesso tempo gestibile, che idealmente prometta sia le facilitazioni di una entry-level sia delle prestazioni degne di essere esibite al bar, possa riscuotere maggiore successo che in altri momenti storici. Per questo prevedo per la FZ8 quantomeno un buon successo commerciale già così, sulla carta, avendone visto soltanto una foto. La cilindrata 800 funzionerà da richiamo per una certa "sobrietà" che però non vuole rinunciare. Ecco perché ritengo che commercialmente sia un buon prodotto.

Poi, caro Tommaso, dici che non ti piace e questo mi sembra abbastanza strano, ti spiego perché. La FZ8 è nata per piacere, anche "ruffianamente" se vuoi. Ha volumi e fattezze note, che non sconvolgono, ben memori di altri prodotti Yamaha. Dettagli già visti rispuntano e si mescolano con richiami accondiscendenti e particolari nuovi per un risultato che è già visto, ma che difficilmente ci respinge anzi, ci tranquillizza perché parla una lingua che conosciamo.

mercoledì 13 gennaio 2010

Una vita da iPedone


Gagliardo affronti la città con un centinaio di cavalli sotto al sedere pronti a reagire ai tuoi comandi. La via appare ancora più stretta, non solo per le auto in doppia fila e per il Daily del corriere che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Appare breve, rapida e... densa di pericoli. Devi rimanere concentrato per prevedere i movimenti della Panda che esce in retro dal parcheggio con WinnieThePooh che ti fa ciaociao dal finestrino - per forza non ci vedono, prova tu a fare manovra con un orso sul finestrino. Devi mantenerti calmo onde evitare di porre fine alla serena esistenza di quella povera vecchina che attraversa la strada con il bastone stabilendo un nuovo record podistico: il decimo di maratona nello stesso tempo di una maratona completa.
Ma il pericolo più frequente nelle minchiopoli come Milano è l'iPedone. Facile intuire di chi si tratti: l'iPedone è un umanoide che pratica un'originale forma di ascetismo. Soprannominato anche l'eremita metropolitano, l'iPedone pratica l'isolamento volontario infilandosi due sonde, solitamente bianche, nel cervello attraverso la cavità uditiva e apparentemente senza allontanarsi dalla società, rimanendo dove sta. E dove sta? Per la maggior parte del tempo sul marciapiedi, ma non è detto. Una delle caratteristiche dell'iPedone è infatti il suo repentino cambio di rotta. Sembra procedere dritto per la sua strada quando improvvisamente si getta nel mezzo della carreggiata o svolta e scarta con fare altrettanto istintivo all'interno di un cortile o si fionda nell'ingresso della metropolitana. In genere fa tutto questo con innata eleganza, al ritmo di musica. Non di rado compie un passo doble. Il più delle volte, però, attraversa la strada volgendo lo sguardo dalla parte opposta. Rimane ancora un mistero il motivo di questo atteggiamento, ma gli esperti tendono per lo più a spiegarlo con il desiderio dell'iPedone di fuggire al suo predatore naturale: il venditore ambulante di cd piratati.
Alcuni studiosi intravedono in questa singolare strategia un innato istinto suicida che confermerebbe gli studi sull'autodistruzione effettuati sugli antenati dell'iPedone: gli Walk-Men. Oggi quasi completamente estinta la popolazione indigena degli Walk-Men ha conosciuto una notevole diffusione nell'ultimo ventennio dello scorso secolo. A una prima prolificazione a partire dal 1980 è seguita una fase decadente che ha condotto la popolazione degli Walk-Men a scomparire progressivamente. Gli ultimi superstiti di questa stirpe, oltre a praticare una sorta di cattività volontaria non mostrandosi in pubblico, sono tutti sordi. Questo a causa del loro istinto autolesionista che li portava ad auto-infliggersi pene atroci come l'ascolto ripetuto per giornate intere a tutto volume di una TDK da 90' contenente la migliore produzione degli Iron Maiden di quarta generazione (ovvero frutto di altrettanti doppiaggi su stereo Audiola). L'istinto masochista dell'iPedone sembra derivare in maniera netta assieme ad altri atteggiamenti dalla sua naturale discendenza dall'antica popolazione degli Walk-Men.
Detto questo l'iPedone è uno dei più acerrimi nemici del motociclista e non è prevedibile quando un iPedone deciderà di gettarsi sotto i vostri cento cavalli scalpitanti.
Dall'MIT (Massachusetts Institue of Technology, e dove sennò?) giunge però la notizia che una previsione sarebbe, almeno in via teorica, possibile. Sarebbe infatti sufficiente conoscere la playlist dell'iPedone per prevederne il movimento suicida. Studi sulla discografia completa di Gigi D'Alessio lo dimostrerebbero. Non ci resta che rimanere in attesa che gli iPedoni vengano dotati di un lampeggiante rosso che entra in funzione ogni qualvolta parte "'A primma nnammuarata".

lunedì 4 gennaio 2010

Il tempo non è denaro


Mio nonno
(chi mi conosce di persona lo sentirà tirare in ballo con più frequenza del sottocosto ai supermercati) faceva il meccanico. Oddio meccanico forse è una parola grossa. Ha iniziato riparando bici e poi motorini, ma la sua "svolta professionale" è arrivata con la Vespa e il distributore di benzina e miscela Esso, con tanto di tigre di latta appesa fuori. Negli anni Cinquanta nel piccolo paese di campagna il suo è diventato un ruolo sociale: detenendo in pratica una sorta di monopolio nella zona nella vendita e assistenza degli insetti che motorizzarono l'Italia popolare, divenne una sorta di istituzione. Col senno di poi posso ben dire che per importanza dopo il sindaco, il prete, il medico condotto e il macellaio, arrivava lui.
Oltre alla bottega in paese, affacciata proprio sulla statale che ancora oggi lo affetta in due come un perizoma e a pochi passi dalla piazza, mio nonno possedeva ancora la vecchia casa paterna un paio di chilometri fuori dal centro. L'aveva costruita "Pètote", così veniva detto suo padre. Lì teneva il suo piccolo ranch: poco più di 3 campi veronesi con tanto di galline, oche, anatre, tacchini, conigli, caprette, noce, pero, enorme ciliegio e cavallo. Il collegamento ranch-bottega avveniva sempre tramite un vecchio Ape 50 azzurro/ruggine. Di solito io salivo nel cassone, quelle sì che erano good vibrations. Quando era carico di legname o latta o bombole di gas o cianfrusaglie varie mi veniva concesso il posto in cabina per bilanciare il peso, non per altro. Una volta non ci riuscimmo e mi ritrovai aggrappato al manubrio dell'Ape in impennata con la benna che si limava sull'asfalto. Ah, bei ricordi, ne nutro molta nostalgia, specie quando girovago per la città.

Mio nonno non era di quelli che amano dare consigli, era di poca cultura, ma aveva le idee chiare e non gli servivano molte parole per esprimere la sua "filosofia di vita". Preferiva ascoltare me, che a 7 anni ero già un pozzo di scienza. Mi ripeteva sempre: "ah bravo bravo studia, che quando sarai grande spacchiamo il mondo. Mi porti in giro... fa' il politico così giriamo il mondo". Notare: fai il politico non perché prenderai un sacco di soldi, ma perché girerai il mondo! E non erano insegnamenti questi?

La bottega, come detto, funzionava bene, era un punto di riferimento in paese. Per tutti lui era semplicemente "El Toni", non c'era da specificare di quale Toni si trattasse. Ancora oggi, per alcune generazioni del paese io sono "el neodo del Toni" (il nipote di Toni) nonostante lui sia passato a miglior vita 13 anni fa. Normale dunque che vi fosse una discreta clientela composta per lo più da amici e conoscenti. E quelli che non lo erano lo diventavano dopo poco. Non mi è mai capitato di vedere un cliente entrare e uscire rapidamente: non venivano solo per una riparazione, ma per scambiare due chiacchiere. Non di rado mio nonno mollava quello che stava facendo, abbassava la serranda a metà (con la porta aperta, altro che ladri! C'era la Tosca, il suo setter sull'uscio) e andarsene al bar assieme all'avventore. Dopo qualche minuto tornava e si rimetteva al lavoro fischiettando. Era sempre contento.
Verso sera poi riabbassava la serranda o lasciava comunque mia nonna in negozio (di solito lei era in cucina a preparare qualcosa di straordinario) saliva sul suo Ape e andava a nutrire le sue bestie. E a maggio... il lavoro riprendeva solo dopo la conclusione della tappa del Giro. Non ho mai sentito mio nonno lamentarsi un giorno della propria vita.

Mi capita sempre più spesso di pensare a lui, alla sua vita e alla sua serenità, così come sto facendo stamane. E sempre più spesso concludo che il denaro si può avere e non avere, sale e scende, c'è e non c'è. Il tempo è l'unica risorsa che veramente abbiamo e non è una risorsa rinnovabile.

Lezione numero 7: non è vero che il tempo è denaro, come ci hanno inculcato negli anni Ottanta. Il tempo vale molto più del denaro.